La diffusione prionica di sinucleina intestinale causa il Parkinson

 

 

DIANE RICHMOND & GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 24 giugno 2017.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Ha compiuto 200 anni la descrizione della malattia pubblicata da James Parkinson nel 1817: “… movimento tremulo involontario, con diminuita forza muscolare, in parti non in azione ed anche quando sostenute; con una propensione ad inclinare il tronco in avanti, e a passare da un passo di cammino ad uno di corsa, i sensi e l’intelletto essendo integri”[1]. In questa prima descrizione, Parkinson non fa riferimento alla rigidità cerea e alla bradicinesia[2], ma i sintomi indicati sono ancora oggi sufficienti a caratterizzare l’aspetto clinico principale, al quale nel tempo si sono aggiunte osservazioni sempre più analitiche, quali quelle sul tremore di Hunker e Abbs, o il rilievo da parte di Charcot della riduzione di dimensione dei caratteri nello scrivere (micrografia), o infine la descrizione di Caekebeke della disartria ipocinetica[3]. Le descrizioni sviluppate nel corso del secolo seguente, oltre a sottolineare la difficoltà ad iniziare i movimenti (acinesia), a definire l’esatta ampiezza di 4-6 Hz delle oscillazioni del tremore a riposo, a rilevare la frequente insorgenza unilaterale con successiva diffusione bilaterale, si sono concentrate sulle manifestazioni sintomatologiche non motorie quali declino cognitivo, disturbi del sonno, depressione, apatia e disfunzione neurovegetativa, che contribuiscono alla disabilità.

Lo studio della neuropatologia, con la scoperta della degenerazione della via dopaminergica nigro-striatale emergente dalla parte compatta della substantia nigra (di Sӧmmering) mesencefalica e l’impiego in terapia della L-DOPA in grado di attraversare la barriera emato-encefalica per essere decarbossilata a dopamina, ha inaugurato l’epoca contemporanea delle conoscenze sulla malattia di Parkinson, modificando la visione clinica del passato che coincideva con la definizione di “morbo”. La degenerazione dei neuroni dopaminergici, associata ad un basso livello di risposta infiammatoria che accentua i fenomeni di morte cellulare, deve raggiungere e superare la perdita del 70% della dopamina, corrispondente alla perdita del 50% delle cellule della sostanza nera, perché si abbiano i sintomi diagnostici. Pertanto, la manifestazione clinica si verifica in una fase già molto avanzata del processo patologico. Oggi si è anche compreso perché le terapie basate sulla reintegrazione di dopamina risultano insufficienti: la perdita dei neuroni dopaminergici comporta modificazioni patologiche nelle aree cerebrali che ricevono gli assoni di queste cellule; nello striato, ad esempio, si determina una grave perdita di spine dendritiche nei neuroni di proiezione.

Oggi la malattia di Parkinson, con una tipica insorgenza tra i 45 e i 70 anni con picchi nella sesta decade, costituisce la seconda malattia neurodegenerativa per frequenza in tutto il mondo occidentale.

Gli ultimi decenni della ricerca sulla malattia di Parkinson sono stati dominati dalla genetica che, sebbene abbia prodotto una mole considerevole di risultati, ha anche stabilito che oltre il 90% dei casi non è riportabile a forme puramente genetiche o monogenetiche. Il rilievo di tali casi, convenzionalmente definiti “sporadici”, fa però aumentare la probabilità nelle famiglie dei pazienti che si possa manifestare la malattia. In altri termini, pur rimanendo importanti fattori ambientali o ipoteticamente “tossici”, alleli di predisposizione sembrano giocare un ruolo anche nei casi non strettamente familiari. Tra le forme familiari si distinguono le rare forme monogenetiche, distinte in autosomiche dominanti, quali quelle dovute a mutazioni nei geni SNCA e LRRK2[4], ed autosomiche recessive, quali PARK2, PINK1 e PARK7, e le più comuni forme geneticamente complesse[5].

Le cause della malattia di Parkinson sporadica, ossia non ricorrente in una famiglia per stretta causalità genetica, non sono ancora note e definite, tuttavia una notevole mole di dati dimostra che l’α-sinucleina alterata nella configurazione spaziale appare prima nelle strutture enteriche e poi nell’encefalo. Le evidenze di questa occorrenza temporale supportano un modello patogenetico in cui le basi del danno nella malattia di Parkinson originano nell’intestino e da qui si diffondono nel sistema nervoso centrale attraverso un meccanismo di propagazione da cellula a cellula simile a quello delle proteine prioniche. In altri termini, il trasferimento dell’α-sinucleina alterata nella configurazione avvia la modificazione patologica della proteina nativa presente nelle cellule riceventi.

Chandra e colleghi hanno fornito, in questo ambito di studi, un nuovo e significativo contributo, di notevole interesse per tutta la patologia oltre che per uno specifico meccanismo implicato nella patogenesi delle forme sporadiche della malattia di Parkinson.

(Chandra R., et al. α-Synuclein in gut endocrine cells and its implications for Parkinson’s disease. JCI Insight  - Epub ahead of print doi:10.1172/jci.insight.92295, 2017).

La provenienza degli autori è la seguente: Duke Institute for Brain Sciences, Durham, North Carolina (USA); Department of Medicine, Duke University and Durham VA Medical Centers, Durham, North Carolina (USA); Department of Pathology and Department of Medicine, UCSF, San Francisco, California (USA).

Nelle nostre “Notule” del 28 gennaio di quest’anno così si introduceva la scoperta del meccanismo molecolare che porta all’aggregazione dell’α-sinucleina nella malattia di Parkinson e in altre sinucleinopatie:

Friedrich Lewy, lavorando nel laboratorio di Alois Alzheimer, descrisse le inclusioni cellulari caratteristiche della malattia di Parkinson, poi definite “corpi di Lewy”, il cui studio biochimico ha rivelato che sono costituite da α-sinucleina, inaugurando il campo di studi delle sinucleinopatie. Nonostante decenni di intense ricerche, fino ad ora il rapporto fra la molecola codificata dal gene SNCA sul cromosoma 4q23 e la perdita dei neuroni dopaminergici nigro-striatali è rimasto sconosciuto. Ora, Seong Su Kang e colleghi hanno scoperto che l’α-sinucleina interagisce con la proteina neuroprotettiva PIKE-L in una maniera dipendente dalla fosforilazione di S129 e sequestra PIKE-L nei corpi di Lewy, portando all’iperattivazione di AMPK, con conseguente morte cellulare dei neuroni dopaminergici. Lo studio, presentato da Solomon H. Snyder, sarà pubblicato su PNAS USA[6]. In quelle stesse notule si riportava l’azione potenzialmente terapeutica della squalamina: “La squalamina, un prodotto naturale con attività anticancro ed antivirale, impedisce l’aggregazione in vitro e in vivo di α-sinucleina, interagendo con le vescicole lipidiche e così bloccando le prime fasi del processo aggregativo. La squalamina è anche risultata in grado di neutralizzare la tossicità degli oligomeri di α-sinucleina presenti nel neuroblastoma umano, in uno studio al quale hanno preso parte Fabrizio Chiti, Roberta Cascella e Cristina Cecchi del Dipartimento di Scienze Biomediche Cliniche e Sperimentali dell’Università di Firenze, ed è stato condotto da Christopher M. Dobson e Michele Perni del Dipartimento di Chimica dell’Università di Cambridge con colleghi dei National Institutes of Health di Bethesda e di altri istituti scientifici internazionali[7].

La centralità dello studio della sinucleina per la comprensione della patologia parkinsoniana non è più messa in dubbio, e in molti laboratori si indaga il ruolo nella patogenesi delle forme non familiari della malattia di questa proteina alterata nella configurazione. Sebbene la causa del Parkinson sporadico non sia ancora chiarita, una notevole quantità di evidenze patologiche e cliniche ha fatto registrare la presenza di α-sinucleina alterata nei nervi enterici, prima che compaia nell’encefalo.

Chandra e Liddle della Duke University, con colleghi dell’Università della California a San Francisco, recentemente hanno scoperto che cellule endocrine enteriche o enteroendocrine, che fanno parte dell’epitelio di rivestimento intestinale e direttamente si affacciano sul lume della cavità dell’intestino, possiedono proprietà simili a quelle dei neuroni e sono in connessione con i nervi enterici. Ora, Chandra e colleghi, nel loro nuovo studio, dimostrano che l’α-sinucleina è espressa nella linea di cellule enteroendocrine STC-1 e nelle cellule enteroendocrine native dell’intestino del topo e dell’uomo. L’osservazione sperimentale ha poi fornito gli elementi che consentono a questi ricercatori di provare il meccanismo di diffusione del misfolding della sinucleina dall’intestino alle strutture del sistema nervoso centrale.

I ricercatori hanno rilevato e dimostrato che le cellule enteroendocrine contenenti l’α-sinucleina mal configurata si collegano direttamente a nervi contenenti α-sinucleina, formando un circuito neurale tra intestino e sistema nervoso, in cui tossine o altre forme di influenza ambientale dovuta ad elementi presenti nel lume dell’intestino possono interessare nelle cellule enteroendocrine il ripiegamento nella configurazione tridimensionale della proteina sinucleinica, avviando un processo mediante il quale la molecola alterata, agendo come il prione PrPSc sul PrPC, si propaga inducendo il cambiamento conformazionale nell’α-sinucleina nativa delle cellule riceventi, fino al sistema nervoso centrale.

 

Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond & Giovanni Rossi

BM&L-24 giugno 2017

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Adams and Victor’s Principles of Neurology (Ropper, Samuels, Klein) 10th edition, p. 1082, (tda), McGraw Hill, 2014.

[2]  Ricordiamo che Marshall Hall (Diseases and Derangements of the Nervous System, 1841) aveva definito “paralisi agitante” la malattia di Parkinson, per porre l’accento sul deficit motorio associato alle scosse del tremore; ma l’espressione del tutto erronea, perché non vi è paralisi e il tremore non è a “scosse agitanti”, è ormai caduta in disuso.

[3] Cfr. Adams and Victor’s Principles of Neurology (Ropper, Samuels, Klein) 10th edition, p. 1083.

[4] Costituiscono la causa più comune di Parkinson monogenetico. Per un aggiornamento in materia si veda Note e Notizie 08-04-17 Malattia di Parkinson e LRRK2: un aggiornamento.

[5] Si veda anche: Note e Notizie 24-06-17 Via genetica comune fra Parkinson e malattie autoimmuni.

[6] Note e Notizie 28-01-17 Notule.

[7] Note e Notizie 28-01-17 Notule.